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“Voglio una vita … infarinata”. La storia di Matteo Beretta, in arte “Il pasticcione” fornaio in San Vittore Olona

Il suo forno si trova in via Leopardi al numero 14. La sua insegna,  “Il Pasticcione”,  è quasi una dichiarazione di intenti. Curiosità, desiderio di sperimentare e proporre idee talvolta sorprendenti ma che spesso anticipano le mode. Per riuscire a mettere insieme – come fa lui – l’insegnamento della tradizione ereditata dal padre panettiere, le nuove tecnologie, la capacità di sperimentare e di cogliere i cambiamenti nel gusto della clientela contemporanea proponendo idee sempre nuove ed originali, l’ingrediente principale è quello della passione. Passione per un mestiere antico e difficile. Un mestiere che non concede alibi perché richiede sacrificio e conoscenza.

Come è successo che Matteo Beretta è diventato fornaio?

“Io sono nato qui, nel forno che è stato di mio padre e di mia madre. Quando ero piccolo abitavo al piano di sopra con tutta la famiglia. Respiro quest’aria da sempre. Da bambino ero sempre qui a giocare  in mezzo alle farine e al pane appena sfornato. Ne  combinavo di tutti i colori. Ci stavo davvero bene. Poi quando sono cresciuto ho perso un po’ di interesse e ho deciso di intraprendere un’altra strada. Mi sono iscritto all’istituto di agraria. Un percorso che però ho interrotto a metà strada.

E’ accaduto mentre stavo facendo il servizio militare. Lì ho capito che non potevo andare avanti senza prendere una decisione su cosa volevo fare nella vita. Così ho scelto di intraprendere il mestiere di mio padre che nel frattempo stava pensando di vendere il forno e di passare la mano.

Non è che in quel momento ne capissi molto di arte bianca ma per fortuna mio padre si è fidato di me. Così ha deciso di ristrutturare il locale, aggiornare i macchinari e di mettere a disposizione la sua esperienza, almeno per i primi tempi fino a che non fossi stato in grado di cavarmela da solo. Eravamo nel 1994 e quindi quest’anno festeggio i trent’anni di attività.”

Come sono trascorsi questi trent’anni?

“Sono volati. Trent’anni dove tutti i giorni ci si sveglia alle 2 e mezza di notte e si incomincia a lavorare e poi quando il pane è sfornato – adesso che ho una famiglia – si fa il giro per recuperare i figli a scuola e poi si va a dormire di nuovo. E’ tutto un po’ spezzettato ma in fondo il tempo per dormire a sufficienza e per le necessità della giornata si trova sempre.”

Quando ha deciso di fare il mestiere di suo padre è stata una scelta dovuta alla mancanza di alternative oppure era veramente convinto?

“Sentivo dentro qualcosa che mi spingeva a questa scelta. Avevo davanti l’esempio di mio padre che ha sempre trasmesso passione per il suo lavoro. Tuttavia lui non mi ha mai imposto niente. Non ha mai dato per scontato che io facessi il suo mestiere dandomi il modo di arrivare a questa decisione solo nel momento in cui ne fossi stato davvero convinto. Insomma mi ha aspettato ma quando ho deciso di iniziare con l’attività dentro di lui deve avere capito che la mia passione era autentica. E così mi ha fatto un altro grande regalo, si è fidato di me e a deciso di lasciarmi in mano l’azienda di famiglia. Insomma quel forno era stata tutta la sua vita poi è diventato la mia.

Dopo un paio di anni nei quali mi ha fatto da tutor ha deciso di  mollare  tutto e ha cominciato a viaggiare per il mondo regalando a se stesso tutte quelle soddisfazioni che il lavoro gli aveva negato per tanti anni. Inutile dire che per me è stata una grandissima soddisfazione  perché voleva dire che anche per lui ero pronto a camminare da solo.”

Come sono stati gli anni successivi?

“Ero contento ma non ero del tutto soddisfatto di quello che facevo. Sentivo che potevo ancora crescere e così nei primi anni lavoravo di notte e di giorno fino alle sette di sera  andavo a Varese per seguire corsi di aggiornamento professionale.

In questi anni di studio ho conosciuto tanti professionisti importanti che mi hanno insegnato moltissimo. Ma anche questo lo devo all’esempio di mio padre che non ha mai smesso di frequentare corsi e di aggiornarsi per stare al passo con i tempi. Questo concetto di non sentirsi mai arrivati, di non avere mai la presunzione di saperne abbastanza me lo ha trasmesso proprio lui e ancora oggi sento continuamente il bisogno di studiare, di aggiornarmi, di confrontarmi con colleghi e studiosi.”

Ma lei come si definirebbe? Un fornaio, un panificatore, un maestro dei lievitati … o cos’altro?

“Come mi definisco? E’ scritto qui fuori nell’insegna del mio forno, sono un “pasticcione”  … un professionista che vuole sempre cercare di fare cose nuove, sperimentare nuovi impasti e nuovi abbinamenti con le diverse farine. Ma questo vale anche per i miei prodotti per così dire standard, il pane che propongo tutti i giorni ai miei clienti, non finisco mai di perfezionarli. Io devo fare così. Non riesco mai a stare fermo su quello che faccio ho sempre cose nuove da immaginare, da imparare, da provare.

Adesso per esempio ho deciso di produrre il grano del mio pane. Così ho affittato un terreno affidandolo ad un contadino mio amico. Quest’anno è già la terza semina che facciamo. Una volta raccolto il grano lo faccio poi macinare a pietra dal mio mulino di fiducia.”

Come si chiama questo mulino?

“Il Molino Valente di Felizzano in provincia di Alessandria. Un posto fantastico dove entrano ancora i binari della ferrovia per scaricare il grano com’era nei mulini di un tempo. Sono tanti anni che collaboro con loro.”

Come racconterebbe i segreti della sua panificazione?

“Quello che conta di più per la riuscita di un pane è la conoscenza della farina che si sta utilizzando. Se non si conosce a fondo la farina e le sue caratteristiche, se non sappiamo come ha lavorato il mulino, non possiamo pretendere di avere buoni risultati in termini di panificazione. La nostra  farina per esempio ha una certificazione di produzione che garantisce anche il consumatore sulla tracciabilità e qualità del prodotto.

Non posso dire che sia un prodotto biologico perché non ha senso affrontare tutta la trafila burocratica per un quantitativo così piccolo però è come se lo fosse. Il grano dell’anno scorso per esempio non ha avuto nessun tipo di intervento, men che meno fungicidi. È un prodotto naturale al 100% perché non utilizziamo niente e non facciamo nessun trattamento a meno che non sia strettamente necessario. Ma anche nei rari casi in cui siamo costretti ad intervenire per salvaguardare la qualità del prodotto finale usiamo prodotti naturali consentiti nell’industria alimentare.”

Immagino che il Pasticcione  Matteo Beretta faccia ricerca anche sul processo di lievitazione  …?

“In tutto il nostro pane utilizziamo quello che io chiamo il cuore pulsante del nostro forno che è il nostro lievito naturale. In termini tecnici viene chiamato ‘lievito madre’, ma io lo vedo più come un figlio, una creatura che ha bisogno di attenzioni e di cure continue ma che poi è capace di darti anche molte soddisfazioni.

Anche in questo campo non si finisce mai di imparare. Di recente per esempio  ho partecipato ad un corso di formazione organizzato proprio dal Mulino Valente  tenuto da una bravissima tecnologa alimentare di origini russe, Elena Lipetskaia dedicato in particolare  alla lievitazione del pane di segale tradizionale russo dove si utilizza una pasta madre chiamata zakwas (composta da acqua e farina di segale). Un lievito molto forte che annusato dà un forte sentore di aceto e che trasferisce al pane un sapore molto particolare.”

Il lievito madre che usa oggi è quello ereditato da suo padre?

“Inizialmente sì. Era quello storico del nostro forno ma nel 2009 dopo aver partecipato ad un’edizione del SIAB, il salone dell’arte bianca che si tiene a Verona, ho avuto la fortuna di conoscere la dottoressa Simona Lauri, tecnologa alimentare e formatrice specializzata nello studio della panificazione, che mi ha aiutato a perfezionare il mio lievito madre. Assieme a lei abbiamo creato questo nuovo lievito madre denominato ALAN (che è un acronimo dei nomi dei suoi figli). E’ un lievito naturale come tutti gli altri ma grazie ad un procedimento particolare siamo riusciti ad ottenere una fermentazione più lattica, meno acetica, che dà un risultato più dolce. Pensi che all’inizio alcuni si lamentavano dicendo che non usavo un lievito naturale perché il pane non era acido, ma oggi invece è esattamente il risultato che sta piacendo molto alla maggior parte dei miei clienti perché in effetti il sapore intenso del pane con lievito madre non sempre è gradito”.

A proposito di studio ci sono delle ‘pasticciate’, ovvero delle sperimentazioni del Pasticcione, particolarmente riuscite?

“Sicuramente il mio cavallo di battaglia è il pane “francese” che è lo stesso di mio padre ma arricchito con il nuovo lievito naturale. E’ un prodotto particolare, una ciabatta caratterizzata dall’utilizzo di un mix di malti appositamente studiato che gli dà un sapore specifico. Perché il malto in panificazione è fondamentale per  determinare il sapore del pane. Molti sono convinti che serva solo a dare la colorazione, ma non tutti i malti sono uguali e il loro risultato cambia a seconda di dove viene estratto e di come viene usato.

Poi c’è naturalmente il nostro pane di tutti i giorni fatto con il nostro lievito madre e la nostra farina di tipo 1. Un prodotto che sta avendo molto successo.

In realtà io non riesco mai a stare fermo. In negozio abbiamo un nucleo di prodotti standard che restano nel tempo ma praticamente ogni giorno mi invento qualcosa di nuovo con proposte che possono cambiare di settimana in settimana o di mese in mese. Tutto dipende da come il cliente le recepisce.”

Le recepisce bene naturalmente dato che l’intervista si sta svolgendo all’una di un mercoledì di gennaio e gli scaffali del negozio sono completamente vuoti. (ndr)

Ma passiamo adesso a parlare della speciale relazione che il Pasticcione  ha con il ristorante La Fornace e il Poli Hotel. Come vi siete conosciuti con Luigino Poli e Vincenzo Marconi?

“Ci siamo incontrati per la prima volta una decina di anni fa in uno dei mercati contadini che si svolgevano qui a San Vittore Olona. Luigino Poli e Vincenzo Marconi  avevano iniziato già da tempo il loro percorso di ricerca di prodotti e produttori del territorio. Ci conoscevamo di vista ma non avevamo mai approfondito il rapporto.  In quella occasione però ci siamo reciprocamente raccontati. Luigino e Vincenzo mi hanno parlato della loro filosofia di lavoro, dello studio intrapreso da tempo  alla ricerca di prodotti di qualità che nascevano sul nostro territorio e io ho raccontato loro le stesse cose che ho raccontato lei, il modo in cui lavoro e le cose che avevo fatto. Ci siamo resi conto subito di avere molti punti in comune e di lavorare in fondo seguendo gli stessi principi cercando di privilegiare l’utilizzo di materie prime di qualità e del territorio. Quindi ci siamo piaciuto fin da subito e da lì è cominciata la nostra collaborazione.”

Come funziona questa collaborazione? E’ lei che propone a Vincenzo Marconi i suoi prodotti oppure viceversa è lo chef che esprime richieste specifiche che poi si trasformano in pani e lievitati particolari?

“Sono corrette entrambe le ipotesi. Inizialmente ho fornito il ristorante La Fornace e il Poli Hotel con il mio pane di grano tenero classico. Ma poi la collaborazione si è arricchita a partire da richieste precise di chef Marconi. Recentemente per esempio mi hanno chiesto dalla Fornace di sviluppare un prodotto ad hoc per il ristorante e così è nato il ‘Boccon Gigi’ un piccolo panino creato per cercare di rispondere ad una serie di esigenze specifiche sulla fragranza, il profumo, le dimensioni e il sapore del panino da portare agli ospiti come coperto. Il Boccon Gigi nasce a partire da una base di farina di grano tenero tipo 2 ad origine garantita piemontese, con l’aggiunta in percentuali diverse di farina di mais e di farro prodotte a San Vittore Olona da Gigi Lattuada. Il lievito utilizzato è sempre il nostro lievito madre. E’ molto bello lavorare così perché per me il rapporto con lo chef Marconi e Luigino Poli è uno stimolo a migliorarmi continuamente ma anche per loro è importante avere sempre la possibilità di mettere in pratica le loro idee DOP (Denominazione di Origine Poli)  trasformandole in nuovi prodotti da proporre alla clientela”

L’ultima collaborazione?

“Proprio in questo momento mentre sto parlando con lei ho in lavorazione l’impasto base per creare dei piccoli panettoni gastronomici richiesti espressamente da Vincenzo Marconi e che saranno serviti all’interno di uno dei suoi menù speciali al Ristorante La Fornace e al Poli Hotel.”

Come deve essere il pane per Matteo Beretta?

“Il pane deve essere buono, sano e digeribile ma anche esteticamente bello da vedere. Deve portare felicità in tavola.

Poi è anche un prodotto che si presta facilmente a sperimentare sempre nuove  proposte. Io credo di essere stato molte volte precursore di quelle che poi sarebbero diventate delle mode. Sono stato tra i primi ad usare la farina di  quinoa, che fornisce al pane una nota di dolcezza, quando ancora nessuno ne parlava. Sto usando regolarmente da anni la farina di riso venere con la quale faccio un pane  di colore viola intenso dal sapore molto interessante. Poi abbiamo un pane di colorazione verde con l’aggiunta di spirulina. Il pane alla curcuma … insomma tantissimi prodotti.”

Ma questo assortimento si trova tutti i giorni in negozio?

“Diciamo che settimanalmente li inserisco in lavorazione in modo alternato. L’assortimento completo si può comunque trovare il sabato perché è il giorno in cui la gente non lavora e può dedicare più tempo alla spesa. Certo non è più il sabato di un tempo quando le famiglie facevano la doppia spesa anche per la domenica. Oggi chi viene in panetteria si comporta in modo diverso. Spesso si fa la scorta di pane per tutta la settimana.”

Come è cambiato in questi anni il consumo del pane?

“E’ cambiato tanto. Una volta c’era un consumo molto maggiore. Il pane si usava tutta la  giornata: dalla colazione, al pranzo, alla merenda e alla cena. Oggi non è più così. C’è stato un periodo in cui addirittura era diventato una specie di demone della tavola perché vittima di molti falsi miti. Perché contiene zuccheri, perché la farina bianca è raffinata … ma insomma è il petrolio che si raffina … non certo la farina. .. la farina semmai si buratta, si setaccia … e quello che cambia da una farina all’altra è solo la quantità di parte di crusca presente.

Oggi noi diamo un prodotto che non solo è garantito e tracciabile ma siamo anche molto attenti agli aspetti salutari. Per esempio nel mio pane utilizzo una quantità molto bassa di sale  compensata dal gusto che al pane viene dato dal mio lievito madre e dai tipi di malto che utilizzo. Sappiamo che la quantità di sale mediamente presente nel pane in commercio  è di 2 grammi su 100 grammi di farina. I medici consigliano di ridurre questa percentuale all’1,7% ma noi siamo arrivati a portarla all’1,5% e nessuno tra i nostri clienti si è accorto di niente. Il troppo sale – d’altro canto – va a coprire il gusto del pane e lo rende tutto uguale. Quindi meno sale vuol dire anche più gusto. Ovviamente se parliamo di un pane di qualità.”

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